Il
furore del Disordine si fece a quel punto incontrollabile. Le comete
che passavano lungo le linee pulviscolari degli spazi crollati furono
afferrate e mutilate delle loro code, sì che le chiome caddero
disorientate dentro i buchi neri. Le scie fredde e gassose delle
ex-comete furono raggrumate entro un reticolo cristallino di vastità
incommensurabile e si ottennero due emisferi glaciali concavi, in
grado, se uniti, di sviluppare al loro interno una temperatura
vicina, se non corrispondente, allo zero assoluto. Queste calotte
emisferiche furono spedite ovunque nel Cosmo ad inghiottire e
fagocitare nebulose, giacché a questo punto il Disordine non aveva
più pazienza e intendeva procedere attraverso una distruzione
immediata e sistematica dei grandi agglomerati di materia, cosa che
avrebbe, per collassamento simpatetico, provocato il disfacimento dei
più piccoli. Ecco dunque che l'orrenda fauce bi-emisferica si
chiudeva attorno agli ammassi gassosi e materici, i quali, dopo
pochissimi secondi, si ritrovavano tramutati in fibra di ghiaccio,
che scivolava via al soffio del vento cosmico non appena le due
calotte di riseparavano. L'azione di questi ammassi cristallini era
rapidissima, nonostante le loro dimensioni, poiché l'energia
negativa che correva lungo i reticoli rendeva loro agile lo scivolare
lungo le corsie di elio fuso che connettevano le zone del Cosmo ove
il Disordine regnava con più assolutezza.
Intere
porzioni di Cosmo erano ormai rarefatte dall'azione delle calotte
onnivore, ma l'energia di Kallistèa non tardò a manifestarsi anche
contro questa nuova e inaudita minaccia. Il quinto potere della Gemma
ipercosmica era una scheggia di energia rosso acceso, dal cui cuore
pulsante esalavano staffili di luce intensa che sospendevano nel
vuoto i resti delle nebulose fagocitate dalle calotte e ne
arrestavano la disgregazione. Ben presto gli staffili coprirono
distanze chilometriche di parecchi anni-luce, e di fatto tutta la
zona del Cosmo oggetto dell'assalto delle calotte glaciali fu
presidiata da questi possenti raggi kallistaici che rallentavano
l'azione del nefando macchinario, facendolo inciampare dentro abissi
di luce intatta.
Il
Disordine sentì di aver stanato, stavolta forse definitivamente,
l'essenza stessa di Kallistèa: decine e decine di calotte
biemisferiche furono eruttate dalle profondità del Cosmo e andarono
verso la scheggia rossa per inghiottirla. Il potere di Kallistèa era
però agile e luminoso, e si sottraeva agli assalti, cosa che
purtroppo comportava il sacrificio delle galassie che incappavano
nella chiusura delle calotte. Una coppia di esse, tuttavia, riuscì a
rinserrarsi attorno alla scheggia rossa, la quale a questo punto
assunse una forma eptacuspidale e con le punte infiammate trapassò
il ghiaccio reticolare e sciolse le gigantesche fauci. Altre calotte
giunsero allora per imprigionare il potere kallistaico, chiudendosi
addirittura le una sopra le altre, così da bloccare i raggi di
energia rossa e soprattutto scongiurare il loro potere liquefacente.
La luce della scheggia parve infiochirsi nella morsa di un gelo senza
soluzione, poiché la moltiplicazione dello zero assoluto ovunque
intorno a lei rendeva vano il dispiegarsi del calore. Il Disordine
non aveva però considerato che gli staffili luminosi precedentemente
emessi dalla scheggia avevano intercettato una scia di asteroidi,
vivificandoli di una forza che pulsava al loro interno come una
fornace. Queste nuove comete infuocate piombarono dagli spazi esterni
e si abbatterono sulle sfere concentriche formate dalla calotte
glaciali, perforandole con assoluta facilità, sì che la scheggia
rossa poté nuovamente dispiegare la propria ipercosmica potenza, e
così fece: gli asteroidi le si fusero attorno secondo uno schema
radiale-ortogonale, dopodiché la nuova struttura prese a roteare nel
vuoto e ad accendersi; dal centro di essa sgorgò quindi la più
imponente fiamma che il Cosmo ricordasse dai suoi albori, quando
capricciose eliche di azoto si incontravano con spirali metanogene,
esplodendo tra i comparti delle stelle appena nate. La fiamma guizzò
sicura in direzione della valle delle comete mutilate, e lì piombò,
riscaldando oltre ogni limite il pozzo ove il Disordine aveva
generato le voraci calotte. La Disarmonia si liquefece e le sue gocce
oscure ripresero un colore armonico, trasformando quell'oscuro lembo
di Cosmo in una gola ansimante e iridescente di infiorescenze
biemisferiche, sorta di fiori ad ombrello simili a molluschi gassosi,
ciò in cui erano state trasformate le calotte dal potere
distruttivo/ricostruttivo del quinto potere di Kallistèa, la Fiamma
di Roccia.
La
furia del Disordine fu però irrorata dalla presenza della Fiamma di
Roccia, poiché era la prima manifestazione kallistaica che emanasse
energia in senso stretto. Kallistèa, quindi, non era solo Forma,
come lasciavano capire le precedenti manifestazioni, ma era in grado
di raggrumarsi anche in manifestazioni energetiche per competere col
Disordine.
Inghiottire
quell'energia, non però per annullarla, quanto piuttosto per
nutrirsene e aumentare a dismisura le proprie possibilità: in questo
nuovo atto il Disordine concentrò il proprio potere; nemmeno
l'apparente invincibilità di Kallistèa avrebbe potuto sottrarsi
alle fauci dell'intero Cosmo, giacché di esso pure lei era il
frutto.
La
curva più remota del buio spaziale si inarcò e d'un colpo le
distanze siderali cessarono di sussistere: decine e decine di globuli
tachionici collassarono nei buchi neri vicini alla pianura di luce
multicolore dove il tri-modulo si era bagnato per dare origine a
Kallistèa e da quell'orrido senza fondo sgorgò un essere triforme,
col corpo di grafite, ali di azoto liquido e tre voragini simili a
gole di serpente, senza occhi, senza labbra, animate unicamente da un
viscido rigurgito di materia gassosa che colava regolarmente addosso
ai corpi celesti, che al contatto con essa si liquefacevano o
esplodevano in disorientati asteroidi.
Nel
suo cieco procedere, la creatura senza nome incrociò i pianeti dove
avevano preso sede i poteri di Kallistèa: a stento ciascuno di essi
poté salvare il corpo astrale da lui protetto. I lampi della Pantera
sbiadivano sotto la pioggia asfissiante dei rifiuti submolecolari del
mostro, né il volo dell'Aquila pareva sufficiente ad arrestare la
minaccia delle mandibole dentate; il Vortice evaporava in più punti
lungo l'atmosfera del proprio pianeta, e le foglie degli Alberi
Sonori mostravano evidenti segni di appassimento.
La
Fiamma di Roccia prese allora a circondare i pianeti suddetti con un
alone di calore che riusciva a tenere alla larga il mostro, ma ciò
produsse nient'altro che una situazione di stallo, poiché il potere
rigenerante di Kallistèa ridava vita a quei pianeti, ma non li
garantiva contro la presenza di una creatura di indecifrabile
avidità. Avidità che si manifestò allorquando i colli del mostro
si aprirono come fossero dotati di branchie, e da queste fessure
incommensurabili prima fuoriuscirono vapori pestilenziali che
spensero tutte le comete vicine, poi si attuò un risucchio che
lentamente ma inesorabilmente trascinava pianeti, poteri di Kallistèa
protettori e Fiamma di Roccia verso la creatura. I raggi di fiamma
kallistaica vennero rapidamente bevuti da quelle branchie viscose, né
la musica degli Alberi Sonori, estinta dal vuoto del risucchio, era
in grado di distorcere il ruggito sibilante del mostro, provocandone
l'implosione.
Il
Disordine sentì di aver vinto la sfida. Non si accorse, tuttavia, di
una nuova luminescenza, arancione stavolta, che tintinnava al fondo
dei sistemi planetari vicini alla coda del mostro. Bastò però una
lieve vibrazione perché la consapevolezza si manifestasse: la
schiena dell'essere immondo fu striata da venature arancio che gli
provocarono qualcosa di comparabile al dolore, posto che una creatura
senza nome come quella potesse provarne. Di certo le fauci si
spalancarono come per gridare, guizzando cieche nel vuoto senza
risposta. Il Disordine invece vide benissimo: le striature arancio si
coagularono in una gigantesca tigre fatta di vento cosmico, materiale
e aerea allo stesso tempo. Turbini splendenti costituivano le
striature, e si alternavano secondo tinte più chiare o meno chiare,
diffondendo un pulviscolo energetico in grado sopprimere i fumi che
fuoriuscivano dalla creatura del Disordine. Zanne ed artigli, invece,
erano pura energia e lasciavano lame di luce che il vento
moltiplicava per non lasciare scampo agli appetiti dell'avversario.
Un ruggito della tigre rigettò nelle tre gole del mostro tutti gli
effluvi mefitici, provocandogli l'emersione di bolle purulente di
titanio lungo tutto il ventre, o quello che poteva essere ventre.
Le
tre gole, pazzamente imbizzarrite, si allungarono allora sulla tigre,
e grazie alle ali d'azoto liquido il movimento del leviatano cosmico
risultò rapidissimo: raggi di plasma furono riversati contro la
nuova manifestazione di Kallistèa e all'unisono le fauci dell'essere
si chiusero sull'avversario, che però si smaterializzò prontamente,
per ricomporsi poco lontano. La repentinità del movimento del mostro
aveva purtroppo disassato i pianeti protetti da Kallistèa, che
vagavano ora raminghi lungo orbite perdute. Solo una provvidenziale
rete di calore prodotta dalla Fiamma di Roccia impedì che essi
finissero in pasto ai buchi neri che attorno al teatro dello scontro
attendevano famelici di poter cibarsi di nuclei di nichel fuso.
Intanto
la tigre passò al contrattacco, e coi suoi artigli squarciò due
delle tre gole del mostro. Queste tuttavia non caddero nel vuoto, ma
si riformarono raddoppiate, cosicché la creatura del Disordine
risultava ora in possesso di cinque fauci. Altri raggi al plasma
assalirono la tigre, ma essa fu ancora più veloce, e con un morso
recise la coda del mostro, facendone fuoriuscire bava di nebulose mal
digerite, ma sopratutto provocando anche lì la formazione di altre
tre gole. Ora il mostro era un rettile cieco bifronte, i cui doppi
ordini di fauci lottavano tra di loro per la primazia nell'assalto
alla tigre. I pianeti attorno videro pertanto una creatura che
mangiava sé e ciò che le stava accanto, rivomitandosi e
rigenerandosi dopo ogni deglutizione.
Ci fu
però il momento in cui il Disordine ordinò alle ormai innumerevoli
gole di puntare tutte sull'obiettivo: infinite paia di branchie si
aprirono su colli schiumanti di elio bruciato e un risucchio senza
paragoni attirò a sé la tigre, la quale si disintegrò nel suo
stesso vento, per venire aspirata definitivamente. Breve fu tuttavia
il trionfo del mostro: ingerita ormai del tutto, la tigre si riformò,
e dall'interno fece strage con artigli e zanne delle interiora
dell'essere, mentre i turbini delle striature dilagarono con la
potenza distruttiva di migliaia di tornado cosmici: alla fine,
un'esplosione di supernova arancio sancì la dissoluzione completa
del mostro multifauci.
La
Tigre di Vento, sesto potere di Kallistèa, volò dunque tra le
stelle a perenne baluardo contro l'orrore del Disordine.
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