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sabato 20 luglio 2013

La leggenda di Kallistèa [4]


Il furore del Disordine si fece a quel punto incontrollabile. Le comete che passavano lungo le linee pulviscolari degli spazi crollati furono afferrate e mutilate delle loro code, sì che le chiome caddero disorientate dentro i buchi neri. Le scie fredde e gassose delle ex-comete furono raggrumate entro un reticolo cristallino di vastità incommensurabile e si ottennero due emisferi glaciali concavi, in grado, se uniti, di sviluppare al loro interno una temperatura vicina, se non corrispondente, allo zero assoluto. Queste calotte emisferiche furono spedite ovunque nel Cosmo ad inghiottire e fagocitare nebulose, giacché a questo punto il Disordine non aveva più pazienza e intendeva procedere attraverso una distruzione immediata e sistematica dei grandi agglomerati di materia, cosa che avrebbe, per collassamento simpatetico, provocato il disfacimento dei più piccoli. Ecco dunque che l'orrenda fauce bi-emisferica si chiudeva attorno agli ammassi gassosi e materici, i quali, dopo pochissimi secondi, si ritrovavano tramutati in fibra di ghiaccio, che scivolava via al soffio del vento cosmico non appena le due calotte di riseparavano. L'azione di questi ammassi cristallini era rapidissima, nonostante le loro dimensioni, poiché l'energia negativa che correva lungo i reticoli rendeva loro agile lo scivolare lungo le corsie di elio fuso che connettevano le zone del Cosmo ove il Disordine regnava con più assolutezza.
Intere porzioni di Cosmo erano ormai rarefatte dall'azione delle calotte onnivore, ma l'energia di Kallistèa non tardò a manifestarsi anche contro questa nuova e inaudita minaccia. Il quinto potere della Gemma ipercosmica era una scheggia di energia rosso acceso, dal cui cuore pulsante esalavano staffili di luce intensa che sospendevano nel vuoto i resti delle nebulose fagocitate dalle calotte e ne arrestavano la disgregazione. Ben presto gli staffili coprirono distanze chilometriche di parecchi anni-luce, e di fatto tutta la zona del Cosmo oggetto dell'assalto delle calotte glaciali fu presidiata da questi possenti raggi kallistaici che rallentavano l'azione del nefando macchinario, facendolo inciampare dentro abissi di luce intatta.
Il Disordine sentì di aver stanato, stavolta forse definitivamente, l'essenza stessa di Kallistèa: decine e decine di calotte biemisferiche furono eruttate dalle profondità del Cosmo e andarono verso la scheggia rossa per inghiottirla. Il potere di Kallistèa era però agile e luminoso, e si sottraeva agli assalti, cosa che purtroppo comportava il sacrificio delle galassie che incappavano nella chiusura delle calotte. Una coppia di esse, tuttavia, riuscì a rinserrarsi attorno alla scheggia rossa, la quale a questo punto assunse una forma eptacuspidale e con le punte infiammate trapassò il ghiaccio reticolare e sciolse le gigantesche fauci. Altre calotte giunsero allora per imprigionare il potere kallistaico, chiudendosi addirittura le una sopra le altre, così da bloccare i raggi di energia rossa e soprattutto scongiurare il loro potere liquefacente. La luce della scheggia parve infiochirsi nella morsa di un gelo senza soluzione, poiché la moltiplicazione dello zero assoluto ovunque intorno a lei rendeva vano il dispiegarsi del calore. Il Disordine non aveva però considerato che gli staffili luminosi precedentemente emessi dalla scheggia avevano intercettato una scia di asteroidi, vivificandoli di una forza che pulsava al loro interno come una fornace. Queste nuove comete infuocate piombarono dagli spazi esterni e si abbatterono sulle sfere concentriche formate dalla calotte glaciali, perforandole con assoluta facilità, sì che la scheggia rossa poté nuovamente dispiegare la propria ipercosmica potenza, e così fece: gli asteroidi le si fusero attorno secondo uno schema radiale-ortogonale, dopodiché la nuova struttura prese a roteare nel vuoto e ad accendersi; dal centro di essa sgorgò quindi la più imponente fiamma che il Cosmo ricordasse dai suoi albori, quando capricciose eliche di azoto si incontravano con spirali metanogene, esplodendo tra i comparti delle stelle appena nate. La fiamma guizzò sicura in direzione della valle delle comete mutilate, e lì piombò, riscaldando oltre ogni limite il pozzo ove il Disordine aveva generato le voraci calotte. La Disarmonia si liquefece e le sue gocce oscure ripresero un colore armonico, trasformando quell'oscuro lembo di Cosmo in una gola ansimante e iridescente di infiorescenze biemisferiche, sorta di fiori ad ombrello simili a molluschi gassosi, ciò in cui erano state trasformate le calotte dal potere distruttivo/ricostruttivo del quinto potere di Kallistèa, la Fiamma di Roccia.

La furia del Disordine fu però irrorata dalla presenza della Fiamma di Roccia, poiché era la prima manifestazione kallistaica che emanasse energia in senso stretto. Kallistèa, quindi, non era solo Forma, come lasciavano capire le precedenti manifestazioni, ma era in grado di raggrumarsi anche in manifestazioni energetiche per competere col Disordine.
Inghiottire quell'energia, non però per annullarla, quanto piuttosto per nutrirsene e aumentare a dismisura le proprie possibilità: in questo nuovo atto il Disordine concentrò il proprio potere; nemmeno l'apparente invincibilità di Kallistèa avrebbe potuto sottrarsi alle fauci dell'intero Cosmo, giacché di esso pure lei era il frutto.
La curva più remota del buio spaziale si inarcò e d'un colpo le distanze siderali cessarono di sussistere: decine e decine di globuli tachionici collassarono nei buchi neri vicini alla pianura di luce multicolore dove il tri-modulo si era bagnato per dare origine a Kallistèa e da quell'orrido senza fondo sgorgò un essere triforme, col corpo di grafite, ali di azoto liquido e tre voragini simili a gole di serpente, senza occhi, senza labbra, animate unicamente da un viscido rigurgito di materia gassosa che colava regolarmente addosso ai corpi celesti, che al contatto con essa si liquefacevano o esplodevano in disorientati asteroidi.
Nel suo cieco procedere, la creatura senza nome incrociò i pianeti dove avevano preso sede i poteri di Kallistèa: a stento ciascuno di essi poté salvare il corpo astrale da lui protetto. I lampi della Pantera sbiadivano sotto la pioggia asfissiante dei rifiuti submolecolari del mostro, né il volo dell'Aquila pareva sufficiente ad arrestare la minaccia delle mandibole dentate; il Vortice evaporava in più punti lungo l'atmosfera del proprio pianeta, e le foglie degli Alberi Sonori mostravano evidenti segni di appassimento.
La Fiamma di Roccia prese allora a circondare i pianeti suddetti con un alone di calore che riusciva a tenere alla larga il mostro, ma ciò produsse nient'altro che una situazione di stallo, poiché il potere rigenerante di Kallistèa ridava vita a quei pianeti, ma non li garantiva contro la presenza di una creatura di indecifrabile avidità. Avidità che si manifestò allorquando i colli del mostro si aprirono come fossero dotati di branchie, e da queste fessure incommensurabili prima fuoriuscirono vapori pestilenziali che spensero tutte le comete vicine, poi si attuò un risucchio che lentamente ma inesorabilmente trascinava pianeti, poteri di Kallistèa protettori e Fiamma di Roccia verso la creatura. I raggi di fiamma kallistaica vennero rapidamente bevuti da quelle branchie viscose, né la musica degli Alberi Sonori, estinta dal vuoto del risucchio, era in grado di distorcere il ruggito sibilante del mostro, provocandone l'implosione.
Il Disordine sentì di aver vinto la sfida. Non si accorse, tuttavia, di una nuova luminescenza, arancione stavolta, che tintinnava al fondo dei sistemi planetari vicini alla coda del mostro. Bastò però una lieve vibrazione perché la consapevolezza si manifestasse: la schiena dell'essere immondo fu striata da venature arancio che gli provocarono qualcosa di comparabile al dolore, posto che una creatura senza nome come quella potesse provarne. Di certo le fauci si spalancarono come per gridare, guizzando cieche nel vuoto senza risposta. Il Disordine invece vide benissimo: le striature arancio si coagularono in una gigantesca tigre fatta di vento cosmico, materiale e aerea allo stesso tempo. Turbini splendenti costituivano le striature, e si alternavano secondo tinte più chiare o meno chiare, diffondendo un pulviscolo energetico in grado sopprimere i fumi che fuoriuscivano dalla creatura del Disordine. Zanne ed artigli, invece, erano pura energia e lasciavano lame di luce che il vento moltiplicava per non lasciare scampo agli appetiti dell'avversario. Un ruggito della tigre rigettò nelle tre gole del mostro tutti gli effluvi mefitici, provocandogli l'emersione di bolle purulente di titanio lungo tutto il ventre, o quello che poteva essere ventre.
Le tre gole, pazzamente imbizzarrite, si allungarono allora sulla tigre, e grazie alle ali d'azoto liquido il movimento del leviatano cosmico risultò rapidissimo: raggi di plasma furono riversati contro la nuova manifestazione di Kallistèa e all'unisono le fauci dell'essere si chiusero sull'avversario, che però si smaterializzò prontamente, per ricomporsi poco lontano. La repentinità del movimento del mostro aveva purtroppo disassato i pianeti protetti da Kallistèa, che vagavano ora raminghi lungo orbite perdute. Solo una provvidenziale rete di calore prodotta dalla Fiamma di Roccia impedì che essi finissero in pasto ai buchi neri che attorno al teatro dello scontro attendevano famelici di poter cibarsi di nuclei di nichel fuso.
Intanto la tigre passò al contrattacco, e coi suoi artigli squarciò due delle tre gole del mostro. Queste tuttavia non caddero nel vuoto, ma si riformarono raddoppiate, cosicché la creatura del Disordine risultava ora in possesso di cinque fauci. Altri raggi al plasma assalirono la tigre, ma essa fu ancora più veloce, e con un morso recise la coda del mostro, facendone fuoriuscire bava di nebulose mal digerite, ma sopratutto provocando anche lì la formazione di altre tre gole. Ora il mostro era un rettile cieco bifronte, i cui doppi ordini di fauci lottavano tra di loro per la primazia nell'assalto alla tigre. I pianeti attorno videro pertanto una creatura che mangiava sé e ciò che le stava accanto, rivomitandosi e rigenerandosi dopo ogni deglutizione.
Ci fu però il momento in cui il Disordine ordinò alle ormai innumerevoli gole di puntare tutte sull'obiettivo: infinite paia di branchie si aprirono su colli schiumanti di elio bruciato e un risucchio senza paragoni attirò a sé la tigre, la quale si disintegrò nel suo stesso vento, per venire aspirata definitivamente. Breve fu tuttavia il trionfo del mostro: ingerita ormai del tutto, la tigre si riformò, e dall'interno fece strage con artigli e zanne delle interiora dell'essere, mentre i turbini delle striature dilagarono con la potenza distruttiva di migliaia di tornado cosmici: alla fine, un'esplosione di supernova arancio sancì la dissoluzione completa del mostro multifauci.
La Tigre di Vento, sesto potere di Kallistèa, volò dunque tra le stelle a perenne baluardo contro l'orrore del Disordine.

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